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Immagine del redattoreFabio Ungaro

Io ti salverò! Sarai crocerossina per sempre?

Vi prego, datemi qualcuno da migliorare!


Ti viene naturale prenderti cura degli altri? Sei convinta che senza di te il mondo sarà decisamente peggiore? Vai in cerca di situazioni umane difficili, e più sono complicate più ti danno soddisfazione? Ti senti utile se puoi fare qualcosa per gli altri? Ti sei scelta un ragazzo dalla vita incasinata perché più è grande la sfida, meglio ti senti? Le esigenze degli altri vengono prima delle tue e senti che è giusto sacrificarsi per una causa così nobile?


Aiutare: sempre e comunque


Se ti ritrovi in qualcuna di queste domande vuol dire dire che anche tu fai parte del grande esercito delle persone - molto più spesso donne - che vivono magari senza saperlo la sindrome della crocerossina. Detta anche sindrome di Wendy, la bambina di 10 anni del romanzo Peter Pan che viene spinta e utilizzata dalla famiglia per prendersi cura dei suoi fratellini. Chi si sente crocerossina ha molte ragioni dalla sua parte. Sente di fare la cosa giusta. Di migliorare il mondo. Di essere l’unica via di salvezza per quell’essere umano che non smette di complicarsi la vita. Si sente bene a cercare di raddrizzare vite incasinate anche se la realtà dei fatti dice che spesso sono sforzi inutili.


Gli altri sempre prima


La prima cosa che salta agli occhi è lo squilibrio tra l’energia che la nostra crocerossina mette nella sua opera di salvataggio e quella che dedica alla sua vita personale. Gli altri vengono sempre prima. Lei si accontenta dei ritagli di tempo, di qualche attenzione. Non ha spazio per sé perché la missione chiama! E la vita dell’altro è sempre più importante della sua. Che lo si voglia vedere o no in questa impostazione c’è uno squilibrio di fondo che non fa bene né a chi fa del bene né a chi lo riceve. Alla fine può diventare come uno scambio commerciale: io ti do il mio aiuto, e questo mi fa sentire bene e indispensabile, e tu in cambio mi dai i tuoi problemi. E, tanto più sono complessi, tanto più mi convincono di quanto sono necessaria.


Accettare il rischio che l’altro rimanga se stesso


Forse la prima cosa da fare è quella di fermarsi e riflettere sulle motivazioni profonde che ci spingono ad agire in questo modo. Sintetizzando il discorso:

  1. Ma non potrebbe essere che se noi aiutiamo gli altri senza che magari che questi ce lo chiedano facciamo, anche senza volerlo, un atto di sopruso, di violenza mascherata da beneficenza?

  2. Ma una dedizione incondizionata alla causa dell’altro va bene sempre e ovunque?

  3. Più il desiderio di risolvere le difficoltà di chi ci prendiamo cura è grande meno siamo capaci di ascoltare le richieste di aiuto che vengono dalla nostra vita.

E allora: non sarà il caso di iniziare a considerare noi stessi come bisognosi di qualcuno che ci prenda per mano e guardi insieme a noi i nostri dolori inconfessati? Perché allora non iniziamo un cammino di crescita con qualcuno più esperto di noi per imparare a diventare i primi veri alleati di noi stessi?




1 Comment


Francesco M.
Francesco M.
Feb 11, 2022

È come se fosse un’azione egoista. Fare qualcosa per qualcuno pensando di sapere cosa sia meglio per l’altro se a priori non vi è un ascolto attento di ciò che vuole realmente o di quello che necessita. Certo poi ci sono delle regole generali che dettano ciò che è giusto e ció che è sbagliato in alcune situazioni, ma a livello generale se non vi è ascolto dell’altro l’azione diviene egoista.

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